Opera 1^ classificata
Filippo Finardi
Piazza San Donato
Era una piazza antica, vecchia,
dove il terremoto faceva paura,
casette scricchiolanti, scale
a chiocciola all’interno e alti
gradini; eravamo bambini,
mia cugina e io, che neppure sapevano
come si gioca fra quelle pietre
vecchie che odoravano di miseria
e sporco, quei cortili dove
il sole non penetrava, le colonne
di legno a tener su i portici,
qualche gatto intorno alla fogna
a cercar topi; sembrava sera
e fuori la luce dorava ancora
la strada, dal bettolino uscivano
i primi ubriachi, s’avvicinava
la paura del buio, dei letti
di paglia; dalla finestra i tetti
scurivano fra pipistrelli in volo,
una minestra sul tavolo o polenta,
ricordo di un’altra vita,
quando i vecchi lasciarono
la campagna per venire dove sono
le luci dicevano, le rotaie,
i tranvai per camminare svelti,
il carbonaio a fianco a vendere
carbonella per la stufa. Era città,
dove la nebbia sfumava magica
sotto un cielo sconosciuto.
Opera 2^ classificata
Paola Zanoia
Quando mio nonno vide il mare
Un inverno,
ho visto il mare
ed ho pianto.
Con la mente piena
del canto della risacca
ho creduto
che solo per me
fiorissero le onde
per dirmi “sei qui”.
Io, uomo da sempre
all’ombra dei monti
amavo il torrente
e le foglie di ruggine
sotto le pance dei pesci d’argento.
Poi ho udito
la voce dell’infinito ritorno,
eco e fragore
che toglie il respiro.
L’ho visto ogni ora
cambiare colore,
incatenarmi
con suono immortale
davanti al suo stupore.
Settant’anni non erano troppi
per piangere,
la prima volta che ho visto il mare.
Opera 3^ classificata
Adriano Scandalitta
La pioggia
Oggi che leggera e fine
scende la pioggia
mi torni a mente,
Albonese
Mi rivedo con il nonno,
sotto il portico
della sua casa rosa stanco,
a giocare a briscola;
lunghe partite che avevano
il sapore di avventura:
il nonno mi raccontava
la sua vita di lavoro
in Argentina,
i suoi anni di guerra
nel genio guastatori
Io scrutavo il cielo
temendo che la pioggia
terminasse troppo presto:
nelle parole del nonno
vedevo, come in un film,
scorrere la sua vita;
lui che era di poche parole
a me apriva, senza titubanza,
il suo cuore
…Io amo la pioggia
che scende leggera e fine:
mi rinverdisce ricordi
e mi ridona squarci di vita
vissuta ed un volto
che sempre mi fa palpitare
teneramente il cuore.
Opera 4^ classificata
Danila Olivieri
La sera del libeccio
(A mio figlio)
Rammenti i lampi dell’estate
squarciavano l’ardesia della notte –
aria e acqua gareggiavano
in tuoni e abissi risonanti.
Mille e ancor mille serpi di bagliori
separavano cielo e mare
che gettava l’urlo d’inchiostro
su aghi di sabbia vorticante.
Lenita la sete, d’incanto si stava
la sera del libeccio
a mirare il miracolo del mare.
Resine imbevute d’aromi,
iridescente sguardo
di spume lumeggiate
dalla diafana pupilla di luna –
il palpitante intreccio delle dita
canestro colmo d’emozioni,
nodi stretti d’amore
che sempre legheranno.
Nel cuore il canto di mia madre
quando la sera del libeccio
sul mare spalancava le finestre.
Opera 5^ classificata
Ivan Ruccione
Il tuo campo
Sarai d’un altro contadino
Che raccoglierà ciò che ho seminato io,
sarà lui a bere il tuo vino,
sarà lui a gustare i frutti di un Dio.
Proverà la dolcezza d’uva della tu amano
E taglierà dalla tua bocca le sottili spighe di grano.
Strapperà i miei aneliti infiniti
E annaffierà i miei miraggi assetati.
Fui la primavera per il tuo campo,
il calore del sole per i tuoi germogli,
acqua dolce per il tuo manto.
La neve cadde ghiacciando tutto…
In un giorno d’autunno fu il gelo d’inverno.
Opera 6^ classificata
Lucy (Rosalucia) Simonato
Il risveglio del mare
La luce fluttuante
di marzo
cavalca gli anfratti
rugosi, sepolti fra
coltri bollenti di ghiaccio
e poi ride,
svogliato ammaliare
di donna che sfoglia curiosa
i pertugi
del buio da un letto di pietra
e di rocce intarsiate d’amore.
Non volartene via,
infinito sospiro del tempo,
no, non ora…
Calmo attendi con me,
fra l’errare del vento
sugli scogli irrequieti, ed ascolta:
ancora un soffice, seducente
sbadiglio
del mare imbronciato
ed è già
Primavera.
Fara, 18/03/06
Opera 7^ classificata
Franco Fiorini
Perdono
Perdono, figlio, per la favola
degli alberi verdi a primavera
e l’inganno di cieli azzurri
specchiati a fiumi di vetro.
Non seppi di stagioni impazzite
né di stracci di plastica alle sponde
e le onde erano canzoni d’amore
sussurrate sulle spiagge a melodie di lune.
Perdono per la pace che ti dissi
e il volo alto della libertà,
per la paternità e il dono di tua madre
e per le nostro vite, unite, ad amare la tua.
Non vidi terre rosse di sangue all’orizzonte
e, perso, il volo bianco dei gabbiani
al crepuscolo nebbioso d’autunno.
Non udii il grido di figli rinnegati
pieni d’assenza, vuoti di memoria.
Non mi raggiunse assordante l’urlo – mio Dio! –
di bimbi straziati da madri senza grembo
oltre il confine giunte dell’umana empietà.
Abiteranno ancora gli angeli
il sonno di un bambino?
Perdono, figlio, per la vita sbagliata
respirata come l’aria fresca del mattino
dentro lo sguardo di tua madre
e quello mio.
Perdono per tutte le aurore,
per i domani attesi sulla soglia
dopo tramonti di piogge novembrine.
Ma sopra le colline, figlio mio,
l’arcobaleno ci sorride ancora.
Ed è come se tutto cominciasse ora.
Opera 8^ classificata
Giuseppe Marrone
23 Maggio
Gonfia di luce e
degli appassiti fiori
l’olezzo, aria pesante
di Eolo dimora, del vento che
sferza, che disperde le urla;
che viaggia, che salpa,
che approda, che porta
le lacrime, staffetta
d’angoscia,
sul viso di altri,
lasciando memoria.
Eros
La voce melodiosa che piega il vento,
che scava e s’insinua dentro.
Sulla distesa di ghiaccio massiccio
splende forte la luce che dà tepore al tatto.
Il canto di Eros, come Persefone per il mondo,
accolto alla fine dell’inverno.
Opera 9^ classificata
Fabio De Mas
Pensieri di notte
Nel tempo dilatato della notte,
coi pensieri stesi al buio
gli occhi vagano nella risacca della vita.
Cieli color cobalto accompagnano
gabbiani con smeraldi nel becco
che custodiscono cuori d’acquamarina.
Il vento di levante alza nebbia e arcobaleni,
mentre vago è il sentore di salsedine.
In questo tempo d’attesa, distratta è la mente
su rotte perdute di desideri ancestrali.
Gli orologi indicano la pazzia dell’uomo
perso alla ricerca di sensi
che vadano oltre i suoi occhi o le sue mani.
Le nubi cancellano le ombre,
ma lasciano i dubbi sulla schiuma del mare.
Scivolare negli anfratti dell’anima
per nascondersi alla luce invadente
è forse saggio come lasciare alla corrente
il compito ingrato di trascinare a valle i detriti
dei propri rimorsi.
Il sale di lacrime antiche
diventa perla di inutile saggezza,
ci si deve abbandonare all’istinto di sopravvivere
per giocare all’amore, per sperare,
per sognare ancora.
Opera 10^ classificata
Maria Paola Fantaguzzi
Massaie
Qui la donna è laboriosa:
in campagna, sopra l’aia,
nella casa, la massaia
non la trovi mai oziosa.
Qui non vedi la comare
cicalare in capannello;
tutt’al più dell’orticello
sull’erboso limitare
ci si dice qualche cosa
del ragazzo ch’è soldato,
del Tonino ch’è al mercato,
della Lena che si sposa,
delle oche, del maiale
che s’ingrassa, delle spese
che s’accrescono ogni mese,
del pollame che va male…
Si salutano. Ciò detto,
il parlare lor s’arresta.
L’una va e l’altra resta:
si raggiusta il fazzoletto
e ripassa sopra l’orto
la sua ruvida carezza.